«Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. 12Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. 14Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 17Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio». (Gv 10, 11-18)
Rimanessimo fedeli al testo originale, l’incipit del nostro brano suonerebbe così: “Io sono il bel pastore. Il bel pastore dà la propria vita per le pecore” (v.11).
E poi ancora: “Io sono il bel pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me” (v. 14).
Nella vita è meglio essere belli o fare i buoni? La bontà è propria dell’ambito del fare, il bello è proprio della sfera dell’essere.
Forse è meglio essere belli che fare i buoni.
Se ti limiti a “fare” il buono, la tua azione sarà sempre estrinseca da te, non ti toccherà mai. Anzi, la storia insegna che non c’è male peggiore che un bene elargito da un cuore malvagio. Tutte le dittature hanno agito in questo modo.
La bellezza è invece emanazione dell’essere; la ‘bella persona’ farà il bene, anche quando le riesce male.
Platone definisce la bellezza come “manifestazione del vero”. La persona bella si scopre in questo modo anche vera; vive secondo la sua verità più profonda, ossia capace di amare. E l’amore si manifesterà all’esterno sempre come bellezza. Agostino ebbe a dire che il volto di una donna quando ama, è sempre immagine della bellezza.
Bello, abbiamo detto, significa in ultima analisi ‘corrispondente all’originale’, ossia vero. Una cosa è brutta quando non è conforme all’originale. L’uomo è bello solo quando ama, quando vive la sua verità più profonda, quando è capace di dono. Sarà brutto quando vive del male, abbruttisce il suo volto, la sua verità più profonda, vive contro la sua natura.
Pietro sul monte della trasfigurazione, fa esperienza di verità. Sente che l’essere con l’Amore più grande, in comunione con la Vita stessa, per lui è fare verità nella sua vita, sente che è fatto per quell’esperienza, là si sente a casa, per questo esordisce con quelle parole splendide: “E’ bello per noi stare qui!” (Mt 17,4). Su quel monte, fa esperienza di bellezza, la sente corrispondente al cuore e non vuole più andar via da lì. L’uomo rimarrà sempre laddove è di casa la bellezza.
Essere capaci di dono, questo è dunque la nostra verità; è questa prerogativa a fare bella la vita.
Gesù è il bel pastore – ed è la Verità (cfr. Gv 14, 6) – perché dona la vita per i suoi amici: «non c’è amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15, 13).
“Per questo il Padre mi ama; perché io do [lett: depongo] la mia vita per poi riprenderla” (v. 17).
La vita o la si dona, o la si perde del tutto: tertium non datur.
Si vive nella misura in cui si dona ciò che a propria volta si è ricevuto.
Una vita trattenuta è semplicemente una vita perduta: “Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita?” (Mt 16, 26). Gesù sta dicendo che potrà riprendere la sua vita – e questa volta per sempre – solo perché prima l’ha deposta a favore dei fratelli.
Ciò che non nasce da una vita trasformata in dono, è semplicemente una vita delirante. ‘Lira’ in latino è il solco nel terreno; noi siamo il seme che viene gettato in un solco dove è chiamato prima a morire per dare la vita che ha in sé, ma se viviamo fuori dal solco vivremo una vita de-lirante, una vita folle, sempre intenta a privare di vita l’altro.
Vivere facendosi capaci di dono, è anche l’unico modo – ci ricorda Gesù – di vivere il potere: «Ho il potere di dare la vita e il potere di riprenderla di nuovo» (v. 18). Questo è l’unico vero potere di Dio, non quello di giudicare (cfr. Gv 8, 15) o di condannare! L’unico potere di Dio è quello dell’amore.
Dio ha manifestato la sua onnipotenza solo sulla croce: la sua massima impotenza è altresì il luogo da cui ha manifestato il suo potere massimo. Al pari di Dio, l’uomo – sua immagine e somiglianza – sarà potente solo nel momento in cui deporrà la propria vita a favore della vita dei fratelli.