«E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, 15perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. 19E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. 20Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. 21Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio». (Gv 3, 14-21)
Il Vangelo di oggi esordisce con un’affermazione folgorante: «Bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo» (v. 14), dove ‘innalzato’ sta per ‘essere crocifisso’. Il verbo ‘bisogna’ indica la necessità del compiersi dell’amore, perché l’amore dà il meglio di sé quando va fino alla fine, al suo massimo compimento: «Li amò fino alla fine» (Gv 13, 1).
È necessario infatti che l’amore mostri la sua ultima conseguenza, perché in questo modo dà spettacolo di sé al mondo, e così gli amati possono scoprire e contemplare la grandezza dell’Amante.
Il desiderio primo ed ultimo di Dio è che io, sua creatura, mi scopra amata da lui ‘da morire’. In questo modo quando contemplerò il suo amore folle per me sulla croce, potrò vivere anch’io di vita eterna (v. 15), perché ciascuno vive dell’amore con cui è amato!
Nel Vangelo, e in particolare in quello di Giovanni, ‘vita eterna’ significa vita piena, felice, compiuta. Guardando l’amore folle di Dio per me, intuisco che valgo, che sono prezioso, e tutto questo non per ciò che ho fatto e che faccio, per il mio vissuto morale o per qualche tratto del mio carattere, ma solo perché figlio amato da morire.
Io valgo la vita di Dio!
Per questo la mia vita potrà finalmente uscire dall’inferno del dover dimostrare – a Dio e agli uomini – sempre qualcosa, di essere all’altezza, di corrispondere alle attese, vivere di prestazioni, per poter meritarmi un po’ di amore.
Il Vangelo di oggi ci sta suggerendo una verità splendida: per vivere di una vita piena e felice (eterna appunto) occorre solamente ‘credere’, ossia accogliere, lasciarsi folgorare, stupire da questo amore ‘gratis’ di Dio per me.
Se lo accoglierò, se sarò in grado di farmi ricettacolo dell’amore, allora non mi perderò mai, perché si perde solo colui che non sentendosi amato non può amare nessuno intorno a sé e tanto meno se stesso.
Questa pagina evangelica continua rivelandoci che è la croce di Cristo la grande testimonianza della passione di Dio per ogni creatura. Dio ama proprio ‘questo’ mondo (v. 16), e questo uomo, e non un mondo e un uomo ideale, non un indefinito ‘altro’ qualora questo fosse perfetto, buono e pulito! Ogni più piccola, infima creatura è amata da Dio ‘da morire’. La conseguenza ultima di tutto ciò è che Dio non vuole condannare nessuno, semplicemente perché non può! L’amore non condanna, salva. E Dio vuole salvare tutti, ma proprio tutti (cfr. 1Tm 2, 4), perché siamo tutti, e solo, figli amati.
Il testo dice che Dio non è venuto né per condannare (v. 17), né per giudicare (cfr. Gv 8, 15), ma per salvare. Anzi possiamo dire che l’unico giudizio di Dio sul mondo è la croce di suo figlio: «giudizio del giudizio» (Massimo il Confessore), che prende su di sé tutto il male del mondo per distruggerlo e consumarlo nell’amore.
Dio giudica amando e ama perdonando. Condanna salvando e si vendica perdonando. Dà la vita a chi gliela toglie e perché il maledetto non perisca offre la propria vita per lui.
Gesù in realtà dice che esiste un solo modo per ‘essere condannati’: non credere a questo amore! (v. 18). Non accettare di lasciarsi raggiungere da questo amore. Sottrarsi all’abbraccio e non gridare come il ladrone sulla croce: «Ricordati di me» (Lc 23, 42). Non accettare di essere illuminati dalla luce che è venuta nel mondo (v. 19) e ora splende su tutti, sui cattivi e sui buoni (Mt, 5, 45).
Alla fine una domanda: chi sarà quel folle che nell’ultima sua gelida solitudine preferirà morire di freddo e non piuttosto tendere le mani al fuoco luminoso e lasciarsi così riportare a casa?