«1Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. 2Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. 3Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e 4gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. 5Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». 6Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. 7Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». 8E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. 9Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. 10Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». 11Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più». (Gv 8, 1-11)
«Se uno commette adulterio con la moglie del suo prossimo, l’adultero e l’adultera dovranno esser messi a morte» (Lv 20, 10).
«Quando un uomo verrà trovato a giacere con una donna maritata, tutti e due dovranno morire: l’uomo che è giaciuto con la donna e la donna. Così estirperai il male da Israele» (Dt 22, 22).
Questa dura Legge senza appello, la troviamo nella Torah, il testo sacro e normativo fondamentale per ogni pio israelita, ritenuta non solo Parola di Dio, ma vera e propria ‘via che conduce a Dio’. Per noi cristiani la Torah coincide con i primi cinque libri della Bibbia che vanno sotto il nome di Pentateuco.
Ora, in virtù di questa Legge divina, viene condotta a Gesù una donna, scoperta in flagrante adulterio e quindi meritevole di morte.
Siamo nel tempio di Gerusalemme, ma la scena pare essere ambientata in un deserto, dove regnano un silenzio assordante e un sole implacabile.
Due schieramenti, da una parte gli scribi e i farisei, dall’altra ‘la misera e la misericordia’ (Agostino).
Da una parte gli impietosi osservanti della Legge, intenti a dare gloria a Dio, non importa se a scapito di un essere umano. Per loro prima viene Dio e la sua Legge, poi gli uomini.
Per questi Dio è giudice, e il testo legislativo da lui emanato parla chiaro: a una colpa precisa va comminata una pena proporzionale. In questo caso la morte! Al peccato commesso, corrisponde sempre una pena da espiare. Scribi e farisei (di sempre), figli di un impietoso Dio-giudice castigatore. Sono in fondo coloro che da sempre si sono sbagliati, e continuano a sbagliarsi su Dio, e che infondono sul mondo degli uomini, una tristezza mortale. Sono coloro che “Credono a un Dio che ruba libertà, invece che offrire possibilità; credono a un Dio al quale importa più la sua legge che non la gioia dei suoi figli; un Dio dallo sguardo giudicante, da cui fuggire anziché corrergli incontro; un Dio di cui non fidarsi. Il primo di tutti i peccati è un peccato contro la fede. E dall’immagine sbagliata di Dio nasce la paura delle paure: dal volto di un Dio temibile discende il cuore impaurito di Adamo. E entrambi Gesù è venuto a riempire di luce, di sole” (Ermes Ronchi, Esercizi Spirituali predicati al Papa, in corso ad Ariccia, Roma).
Dall’altra parte Gesù, per il quale, che sia in cielo o sulla terra, nulla può venire prima dell’uomo.
Egli sa benissimo che una tale norma non può essere stata emanata da Dio, perché il suo Dio è il Dio dei vivi e non dei morti (cfr. Mt 22, 32). Una Legge – pur ritenuta divina – che arriva a sancire la morte d’una creatura, per quanto male possa aver compiuto, può essere solo frutto di menti malate e quindi di volontà di uomini: «Invano essi mi rendono culto – dice Dio – insegnando dottrine che sono precetti di uomini» (Mt 15, 9).
Gesù dinanzi a questa donna, «piccolo animale braccato, paralizzata da quegli uomini che l’hanno strappata dal letto dell’amante» (Françoise Dolto), sta in silenzio. Non giudica perché l’Amore non giudica. Perché il Padre non giudica nessuno (cfr. Gv 5, 22), e quindi neanche lui può giudicare, dato che è venuto a rivelare solo l’autentico volto di Dio (cfr. Gv 8, 15).
Qui Gesù pare il solo ad essere interessato alla vita, alla storia, e al destino di questa povera donna.
“Gesù non è moralista, mette al centro la persona con lacrime e sorrisi, la sua carne dolente o esultante, e non la legge. Nel Vangelo troviamo con più frequenza la parola povero che peccatore.
Adamo è povero prima che peccatore; siamo fragili e custodi di lacrime, prigionieri di mille limiti, prima che colpevoli” (Ermes Ronchi, Ibidem).
Gesù ci invita a chiederci dinanzi a questo ‘animale braccato’ – simbolo di tutti i colpevoli della storia – : «Ma cosa ne sai di questa creatura? Cosa ne sai del suo mondo interiore, dei suoi sogni, dei suoi desideri profondi?».
Merita la morte una donna costretta a sposarsi a dodici, tredici anni non per amore ma solo per soddisfare gli interessi economici della famiglia di origine?
Merita la morte una donna il cui unico desiderio è la felicità e il compimento del proprio cuore?
Merita di morire dentro, chi ha fallito una relazione, chi s’è sbagliato sul proprio partner, chi dopo magari vent’anni vive lo spergiuro perché si trova diverso da quando, tanti anni prima, aveva giurato fedeltà eterna?
Gesù è l’amore. E l’amore abbiamo detto non condanna, anche se non giustifica.
Per Gesù l’essere umano è sempre più grande, ‘oltre’ ogni legge, civile o ecclesiale che sia. L’alternativa è stare con la fazione dei puri e dalle mani piene di pietre, che come tutti gli integralisti di questo mondo odiano nell’altro ciò che non riescono a vivere in sé: «il puro esige la rivendicazione della sua integrità rifiutando ogni contaminazione con l’impurità dell’altro, ma ciò che rimuove è che questa impurità è, in realtà, un nome del suo essere, un nome della terra pulsionale che lo costituisce» (M. Recalcati).
Gesù è il Dio che si è messo dalla parte dei suoi figli e insieme la fine della Legge (cfr. Rm 10, 4). Gesù è il Dio che insegna un’unica Legge, perché come dice ancora Paolo: «Pieno compimento della Legge è l’amore» (Rm 13, 10).