«Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.
14Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, 15né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. 16Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli». (Mt 5, 13-16)
Cosa vorrà dire concretamente ‘essere sale della terra’? Il sale veniva spesso posto come antisettico e antidolorifico sulle ferite cutanee. Nella prima lettura di oggi Isaia mette in bocca a Dio queste parole: «se tu dividerai il pane con l’affamato, introdurrai in casa i miseri, i senza tetto, vestirai uno che vedi nudo, allora la tua ferita si rimarginerà presto» (v. 8).
Interessante: guarire l’altro dal suo stato di indigenza, risollevarlo dal fango e dal non senso, guarirà le nostre ferite. Sì, perché in fondo siamo tutti guaritori feriti.
Chi di noi non si porta dentro delle piaghe esistenziali, magari inferteci dall’infanzia, da amori sbagliati, delusioni subite, dolore arrecato e subìto, errori… Il Vangelo ci indica la strada per poter guarire da tutto ciò.
Il sale – il balsamo dell’amore – versato sulle ferite dell’altro, rimarginerà le nostre.
Se non ridiamo sapore alla vita dell’altro, perderemo noi il gusto di vivere, e piomberemo in una storia dove tutto sarà insipido, scialbo e triste.
Senza idealismi però, in quanto se cominceremo a prenderci cura dell’altro, sperimenteremo presto che questo ci brucerà dentro, proprio come il sale sul vivo di una ferita, ma sapendo al contempo che è l’unico modo per guarire.
Gesù continua dicendo: «voi siete la luce del mondo» (v. 14). Nella Chiesa primitiva, i battezzati venivano chiamati gli ‘illuminati’, perché impregnati di Cristo, la luce!
Ma è ancora Isaia a ricordarci cosa vuol dire, concretamente, essere luce del mondo.
«Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se offrirai il pane all’affamato, se sazierai chi è digiuno, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio» (vv. 9-10).
Saremo luminosi, solo se cominceremo ad illuminare gli altri. Se non s’illumina nessuno, ci spegniamo anche noi.
Il bene fatto all’altro alimenta la nostra lampada. Siamo stati ‘illuminati’ solo per far uscire dal buio i fratelli. Una vita nell’oscurità dell’egoismo, giocata sotto il secchio (moggio nel brano) è destinata a estinguersi. Una vita consumata nell’ombra, nel nascondimento del proprio vivere quieto, incentrato su di sé, alla fine si spegnerà nell’insignificanza.
Gesù mostra che la vita che illumina il mondo intero, che dà sapore alla storia, è solo quella che è in grado di amare sino alla fine, quella in grado di salire sul candelabro, ovvero la croce (v. 15). Una vita che è ‘venuta alla luce’, ma che poi non s’alimenta dell’olio dell’amore e fa luce a tutti coloro che stanno intorno, si spegnerà presto, divenendo morta anche se detta vivente.