«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, 17lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. 18Non vi lascerò orfani: verrò da voi. 19Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. 20In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi. 21Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».
Il brano di Vangelo di oggi è la continuazione di quello ascoltato domenica scorsa. Siamo nel contesto dell’ultima cena di Gesù raccontata da Giovanni, e Gesù sta parlando ai suoi riguardo a ciò che succederà e gli accadrà da lì a poco, ovvero ciò che verrà raccontato dal capitolo diciottesimo in poi, la passione di Gesù.
In questo contesto Gesù invita i suoi ad avere un amore forte verso la sua persona: «se mi amate» (v. 15). Questo per evitare di amare un’ideologia, un coacervo di leggi, di norme, di precetti, di amare insomma la religione.
Dio non è un’idea, per quanto sublime, è una persona! È essere capace di relazione. Il rischio è sempre quello di pensare al rapporto con la divinità come ad un rapporto con la religione, con dei concetti, delle idee. Questo atteggiamento è facilmente ravvisabile in quelle persone che avendo assolto il precetto domenicale, avendo detto le preghiere di rito, ricevuto i sacramenti, osservato i comandamenti pensano di essere finalmente dei “buoni cristiani”.
La ritualità, il culto, il vivere religioso non sono il fare esperienza di Dio. L’uomo ha bisogno di relazionarsi, di ascoltare, di entrare in comunione con Dio a livello personale, ed è per questo che Dio si è fatto carne e quindi persona! Da quel momento abbiamo un cristianesimo che non è più fondato su prescrizioni e precetti quali: “toccare – non toccare”, “andare – non andare”, “guardare -non guardare”, “mangiare – non mangiare”, o quant’altro, precetti tutti di uomini (cfr. Col 2, 20), ma sulla relazione con Gesù, l’amore verso la sua persona, incarnazione del Dio vivente.
Ecco perciò cosa vuol dire questo “Se mi amate”: entrare in relazione con una persona ed accettare che questa mi ami come desidera amarmi. Se io amo Dio, permetto a Dio di amare me.
La preghiera – in questo contesto – non sarà più un tributo dovuto a Dio per farlo contento, ma apertura e piena disponibilità concessa a Dio di entrare in relazione con me.
Gesù sta dicendo: “Se amandomi, mi permettete di amarvi, allora osserverete i miei comandamenti”.
A questo punto nasce una domanda: Gesù ci ha lasciato dei comandamenti? Sì, uno solo, quello dell’amore: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 13, 34).
Per cui ciò che Gesù sta cercando di dire ai suoi è: “Se mi amate, se vi aprite con un atteggiamento di fede alla mia azione in voi, permetterete che io entri in voi come Amore, donandovi così la possibilità di vivere l’unico comandamento che vi ho dato, l’amore vicendevole, in modo che amandovi così possiate divenire pienamente voi stessi, cioè pienamente figli, facendovi fratelli”. Bellissimo! Dio ci raggiunge perché possiamo vivere del suo stesso amore.
Perché si parla di comandamenti (plurale) se in realtà ce ne ha lasciato uno solo? Semplicemente perché nel nostro quotidiano noi dobbiamo declinare questo amore in mille rivoli diversi; noi riceviamo la fonte dell’amore ma poi questo amore va vissuto a seconda delle situazioni in cui ci troviamo, delle persone che incontriamo, delle scelte che facciamo, delle parole che diciamo. Il comandamento dell’amore si traduce poi in comandamenti dell’amore.
La parola comandamento ci crea sempre un po’ di problemi…
Abbiamo visto sopra che Gesù ci ha detto: “Vi do un comandamento nuovo”. Stiamo attenti, Gesù non ha detto: “Vi comando di amarvi”, ma “Vi do un comandamento”, quello dell’amore. E questo è importante; significa che ciò che ci viene comandato di vivere, ci viene previamente donato, è un dono! Siamo prima amati, raggiunti dall’amore e solo dopo aver fatto esperienza di questo amore, possiamo vivere con gli altri questo medesimo amore. “Donami ciò che mi comandi e poi comandami ciò che vuoi”, ebbe a dire il grande Agostino.
Se cominciamo a vivere amando Gesù, se gli permettiamo di entrare in relazione con noi, se facciamo esperienza del suo amore, Gesù stesso ci assicura che pregherà «il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito (consolatore) perché rimanga con voi per sempre» (v. 16). Noi ci troveremo sempre accanto un avvocato difensore che ci difende da colui che ci accusa e dall’Antico Testamento sappiamo che colui che ci accusa è sempre “il satana” (che non è il diavoletto che immaginiamo noi). Questi nella Bibbia, ha sempre il compito accusare gli uomini dinanzi a Dio, una sorta di pubblico ministero diremmo oggi, far cadere l’imputato dinanzi al giudice. Ebbene, Gesù ci sta dicendo che con il suo amore, non abbiamo più da temere nulla, per quante cose il satana possa accusarci: noi abbiamo continuamente un avvocato difensore dinanzi a Dio. Queste cose le dice Giovanni nella prima lettera (1Gv 2,1): “…ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paràclito presso il Padre, Gesù Cristo il giusto”. Abbiamo un Paràclito che non permette che il male ci possa accusare; perché l’amore è sempre più forte di ogni male. Il peccato è vinto dall’amore! Il guaio è che in molto cristianesimo si è posta sempre più attenzione al ‘peccato’ commesso che all’amore gratuito e folle di Dio per i suoi figli. All’origine di noi c’è un amore originale e originante! In grado di vincere tutto il male.
C’è un passo in Apocalisse 12 che va in questa direzione: “…è stato precipitato l’accusatore dei nostri fratelli, cioè colui che li accusava davanti al nostro Dio giorno e notte” (vv 7ss.). Con Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio, il satana ha perso il suo lavoro! Per quanto male potesse scorgere in noi e portarlo al tribunale di Dio, Dio dice: “Mio Figlio è l’ultima parola sul male”.
Gesù parla di un altro Paràclito. Perché? Il primo Paràclito è Gesù e ora che Lui se ne va, rimane con noi un altro Paràclito per sempre; è lo Spirito Santo che viene a noi proprio grazie all’andarsene di Gesù. Gesù sulla croce “chinato il capo spirò” cioè “diede a noi lo Spirito” che è il frutto dell’amore massimo del Figlio. Gesù ha distrutto il male una volta per tutte. Noi siamo sempre consolati e – in qualsiasi situazione – non saremo mai soli; potremo conoscere la sofferenza, la solitudine degli uomini, potremo essere traditi ma non saremo mai soli, avremo sempre questo “avvocato” che è l’ultima parola di Dio su di noi e questa parola non sarà un giudizio ma sarà l’amore, un amore che vince anche la morte.
Lo Spirito è il respiro di Dio, è la sua vita e ci conduce alla verità (v. 17), ci fa scoprire cioè la verità su di noi, che siamo figli, su Dio stesso, amore infinito, sugli altri, fratelli amati anch’essi da Dio. E questa verità ci verrà partecipata dal fatto che ora lo Spirito è dentro di noi; non è una verità imparata con la testa, ma provata col cuore: io so nell’essere che è così!
Gesù dice che non ci lascerà orfani, grazie a questo Spirito in noi. Se cercassimo l’etimologia della parola orfano, vedremmo che significa letteralmente orbo, con un occhio solo. Chi è orbo nella vita, manca sempre di una parte che lo completi, è come se allo sposo mancasse la sposa, all’amato l’amata. Ebbene, senza questo Amore in noi – lo Spirito – mancheremmo sempre di qualcosa che ci è necessario per essere pienamente noi stessi. A volte si prova invidia per i discepoli che hanno vissuto con Gesù, l’hanno visto, gli son stati accanto, ma in realtà siamo più fortunati noi: loro lo avevano a fianco, noi lo abbiamo dentro. Loro hanno vissuto con Gesù, il Dio con noi, noi viviamo grazie allo Spirito con Gesù, il Dio in noi. Si è fatto carne della mia carne, sangue del mio sangue, mio pensiero, mio giudizio, mie scelte, mio affetto, mio amore…tutto! Questo è successo dopo la croce, con l’effusione del suo Spirito.
Con la croce, il mondo pensava di “aver fatto fuori” Gesù e, infatti, dopo la croce non lo vedrà più: «Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più» (v. 19), (e ricordiamo come dopo la risurrezione apparirà soltanto ai suoi, cfr. Mc 16, 12ss.; At 13, 31), ma l’amore ha una prerogativa: se viene ucciso, resuscita e passa avanti; l’amore dà sempre il meglio di sé quando viene ferito. Uccidendolo, il mondo ha fatto come ‘esplodere’ tutte le potenzialità dell’amore. (cfr. Gv 12: il chicco di grano).
Il mondo estromettendolo dalla realtà, ve lo ha introdotto in modo definitivo, e – per assurdo – proprio chi lo ha ucciso sarà il primo a professare la fede in Gesù. L’amore è per i nemici.
Ma ai suoi Gesù dice: “Voi invece mi vedrete perché io vivo e voi vivrete”. «Ora vivrete di questo amore che è entrato in voi grazie alla mia morte per amore e mi vedrete. Mi vedrete ogni volta che vi spenderete nell’amore». Dio è in noi e questa sua presenza ci permette di amare “da Dio”; amando così lo si rende presente.
Amare da Dio vuol dire dare la vita a chi ce la sta togliendo, vuol dire amare i nemici: lavare i piedi e dare il boccone a Giuda, come Gesù ha appena fatto nell’ultima cena. E quando i nemici ci “faranno fuori”, in realtà permetteranno alla nostra vita di esplodere in pienezza. “Fare fuori” non è solo togliere la vita fisicamente, ci sono tanti modi per uccidere ed essere estromessi dalla storia, ma se viviamo tutto ciò nell’amore, potrà venir fuori il meglio di noi.
Tutto ciò pare essere assurdo, ovvero letteralmente ‘mai udito’, infatti questo si chiama Vangelo, parola mai udita, ma che Gesù è venuto a narrarci con la sua Parola, e a renderla possibile per noi con la sua vita. Questa, in ultima analisi, è l’unica bella notizia.