Nel bellissimo libro di Cormac McCarthy, ‘The Road’, un uomo e un bambino senza nome si ritrovano in un mondo sconvolto a seguito di un non ben definito evento catastrofico. Padre e figlio si muovono in mezzo alla polvere e al nulla, incappando raramente in uomini e donne trasformati in bestie, violenti e ridotti a nutrirsi di carne umana.
L’uomo e il bambino, terrorizzati, a fatica si trascinano a sud – verso il mare – ove sperano di trovare un clima meno rigido e magari un brandello di speranza.
Nei dialoghi tra padre e figlio, ricorre costante la figura del fuoco. Entrambi sono consapevoli che in quella situazione disperata sono chiamati ad una sorta di compito esistenziale: “custodire il fuoco che si portano dentro”.
– Ce la caveremo, vero, papà?
– Sì. Ce la caveremo.
– E non ci succederà niente di male.
– Esatto.
– Perché noi portiamo il fuoco.
– Sì. Perché noi portiamo il fuoco.
Il libro di McCarthy è in realtà una metafora dell’esistenza. In questo mondo che pare disintegrarsi, su questa strada di ‘polvere e nulla’ su cui dobbiamo muoverci ogni giorno, la domanda alla fine è solo questa: «cosa sopravvive del nostro essere uomini quando il mondo intero crolla?». Insomma, alla fine cosa ci rende davvero umani?
La risposta credo abbia a che fare con questo fuoco che ciascuno si porta dentro, e che dobbiamo da una parte non lasciarlo spegnere, dall’altra continuare a ‘portarlo’.
È la nostra umanità, il nostro essere umani. La parte migliore di noi, l’energia vitale che ci muove, che produce vita, che feconda la vita.
Immersi in un mondo fatto di parvenze, che si nutre di ‘carne umana’, il compito cui siamo chiamati è conservare l’umano, trasmettere vita alle persone che incontriamo, rimetterle in piedi se schiacciate a terra, ridonare loro quella dignità che nessuno ha mai loro riconosciuto, rimarginare le ferite.
“Custodire il fuoco”, credo significhi questo il Natale.
Reputo che ciò che chiamiamo incarnazione non sia tanto quella di un Dio che si fa uomo – tra l’altro nulla d’eccezionale per un dio – ma piuttosto costatare come la mia umanità diventi divina nella misura in cui è capace di gesti divini! Incarnando gesti che fecondano l’umano, come il bene, la giustizia, la condivisione, la cura, il perdono, mi scoprirò teofania, ovvero incarnazione di Dio: sto dando carne a Dio!
Detto con altre parole: divini lo si diventa per via d’umanità. Come è accaduto a Gesù di Nazareth.
Nel libro preso in considerazione, davanti a ogni scelta complessa il padre vacilla, pensa a come sopravvivere, mentre il bambino segue sempre la via della compassione e della giustizia, incarnando così la speranza.
Il padre «sapeva solo che il bambino era la sua garanzia.
Disse: Se non è lui il verbo di Dio allora Dio non ha mai parlato».
McCarthy in un’intervista lasciò detto questo «The Road può avere questo messaggio: prenderci cura delle persone a cui teniamo, ed essere grati, perché la vita, anche quando è dura e piena di dolore, è dannatamente bella».