«Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero presso Bètfage, verso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due discepoli, 2dicendo loro: “Andate nel villaggio di fronte a voi e subito troverete un’asina, legata, e con essa un puledro. Slegateli e conduceteli da me. 3E se qualcuno vi dirà qualcosa, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà indietro subito””. 4Ora questo avvenne perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta:
5 Dite alla figlia di Sion:
Ecco, a te viene il tuo re,
mite, seduto su un’asina
e su un puledro, figlio di una bestia da soma .
6I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: 7condussero l’asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere. 8La folla, numerosissima, stese i propri mantelli sulla strada, mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla strada. 9La folla che lo precedeva e quella che lo seguiva, gridava:
” Osanna al figlio di Davide!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore!
Osanna nel più alto dei cieli! “.
10Mentre egli entrava in Gerusalemme, tutta la città fu presa da agitazione e diceva: “Chi è costui?”. 11E la folla rispondeva: “Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea”».
La collina di Gerusalemme si sta già definendo all’orizzonte (v. 1). L’ora della fine si sta avvicinando vertiginosamente. Il Calvario è già lì, pronto ad accogliere il suo condannato più illustre.
E Gesù entra nella città santa, come un trionfatore, come un grande, un potente. È acclamato re e Messia! Ed egli sa di esserlo, non si presta semplicemente ad una ridicola commedia degli equivoci. È giunta finalmente l’ora in cui mostrare cosa vuol dire essere trionfatore, grande, re e Messia.
E lo mostrerà obbedendo all’amore, quell’amore che accetterà di consegnarsi nelle mani di Giuda (il nemico amato), dopo aver lavato i piedi ai discepoli (Gv 13) e accettando di morire su un patibolo infame per poi marcire in un sepolcro perché il seme possa infine germogliare e dare frutto.
E lo mostrerà salendo su un asino (v. 7), come per identificarsi con questo animale. Sì, perché l’amore è riuscire a vivere come l’asino, l’animale mansueto, non violento, utile in quanto porta il peso degli altri (Portate i pesi gli uni degli altri. Gal 6, 2) e con grandi orecchi dediti all’ascolto.
Ecco, Gesù entra come trionfatore su un asino: egli portando il peso degli altri fin sulla croce, in ascolto (obbedienza) all’Amore del Padre, ha trionfato per questo sulla morte stessa.
Gesù è entrato nella storia come potente, come re, ma in modo diverso da tutti i potenti e i re di questa storia che vivono solo grazie al sangue dei sudditi, avendo bisogno delle schiene dei poveri per potersi fare grandi e che tengono in mano tutto e tutti. Gesù è il Dio che vive consegnandosi nelle mani degli uomini, che a loro volta lo consegneranno alla morte; e sarà attraverso questo gioco di consegne che alla fine questi stessi uomini potranno essere consegnati all’Amore di Dio!
La “passione”, che verrà letta durante la celebrazione di questa domenica, non è ciò che Dio ha fatto per noi, ma è ciò che l’uomo ha fatto al suo Dio, ciò che gli abbiamo scaricato addosso. Ma è proprio da questo che Dio mostra la sua passione per l’uomo, perché egli ha portato su di sé tutto il peso del nostro male come asino/servo e l’ha portato sulla croce trasformandolo in bene donandoci la vita.
È ciò che gli abbiamo fatto che ha mostrato la gloria di Dio a nostro favore. È il male di cui noi non possiamo fare a meno, e che Lui prende su di sé, il combustibile della passione di amore di Dio per noi.
Quando il cristianesimo, la Chiesa, ciascuno di noi, sapendo che l’unica modalità d’esistenza è il vivere come l’asino, comincerà ad ammiccare al ‘mondo’, ai re e ai potenti della terra, desiderando vivere ed essere come loro attraverso il potere, la ricchezza e il successo, allora si realizzerà una sorta di tragica ibridazione. Noi fatti per vivere come asini ci uniremo al cavallo, simbolo da sempre del potere mondano, e il risultato sarà ritrovarsi come muli, animali stupidi ma soprattutto sterili.
In questo giorno, detto delle palme, abbiamo un popolo che lo sta osannando perché nei suoi anni in mezzo a loro, ha donato pane, guarigioni, vista e addirittura vita per i figli d’Israele. Questa stessa folla, fra poco lo vedrà donare la sua vita sulla croce, per tirarci fuori dal nostro sepolcro, ma allora proprio queste stesse persone grideranno: “Crocifiggilo, crocifiggilo”. Quando lo vedranno come asino, come amore, come colui che porta i nostri pesi sulla croce, allora lo rifiuteranno. Ma questo rifiuto sarà proprio il momento in cui egli vincerà e trionferà sui suoi nemici, perché porterà su di sé la loro violenza senza restituirla, e farà del rifiuto, del male, della cattiveria il luogo della comunione somma. Questo è saper amare sino alla fine.
E noi usciremo finalmente dal nostro sepolcro, perdendoci come figli tra le mani ferite dell’Amore crocifisso.