«Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. 38Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, 39e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. 40Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. 41Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata.
42Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. 43Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. 44Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo». (Mt 24, 37-44)
Con questa domenica, comincia il tempo di Avvento. Un periodo in cui siamo chiamati a ‘svegliarci dal sonno’, come invita a fare Paolo nella seconda lettura.
Viviamo da svegli un ‘sonno esistenziale’, e – cosa ancor più grave – il sonno della ragione. E sappiamo oggi, fin troppo bene, come il sonno della ragione generi mostri.
‘Vegliate dunque’, ci ripete Gesù. State attenti, aprite quegli occhi capaci di vedere lontano, e quel cuore in grado di interpretare il reale. Non lasciatevi ingannare dai morti viventi che vi circondano.
Manchiamo di profezia, di grandi orizzonti, di respiri ampi. Tutto rischia di consumarsi nell’attimo presente.
Nella prima lettura il profeta auspica un tempo di cui ‘le lance si trasformeranno in falci’, il momento in cui sapremo convertire il nostro stile di vita fondato sul potere e il possesso, per farci – deposte le armi dell’ego – finalmente pane per la fame altrui.
“La sazietà non ci basta più” canta un gruppo musicale italiano. Stiamo morendo per troppo quotidiano, come i contemporanei di Noè, che ‘mangiavano, bevevano’ e non si accorsero di cosa stesse per succedere loro.
Viviamo intontiti, obnubilati, incapaci di costruirci quell’arca per staccarci da riva e prendere il largo, perché è per questo che siamo stati creati. Occorre essere naviganti che si muovono verso un orizzonte che per definizione non sarà mai conquistato. Perché a salvarci non sarà l’avere raggiunto la meta, ma aver vissuto appieno il viaggio. Dobbiamo tornare a sognare, fidarci dei nostri sogni, seguire sempre i nostri sogni, perché – come mi ha detto ieri sera una cara amica – “loro conoscono la strada”.
La vita ci è data per ‘farci arca’, attraverso il materiale dell’amore, della cura e della compassione. La vita, vissuta appieno, nella bellezza e nell’attenzione, mette le ali, e impareremo a volare, accorgendoci magari che alla fine è solo questione di prospettiva.
E ci stupiremo, infine, che rimarremo a galla quando il diluvio coprirà tutto, con i ‘distratti’ che staranno a guardare.