«Il giorno dopo, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: “Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! 30Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. 31Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele”. 32Giovanni testimoniò dicendo: “Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. 33Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. 34E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio”». (Gv 1, 29-34)
Il Battista ‘vede’ Gesù andare verso di lui. E riconosce in lui “l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!” (v. 29). Alle orecchie di un ebreo questa frase deve aver prodotto una risonanza impressionante. Rimanda a concetti come capro espiatorio, togliere il peccato, l’idea stessa di peccato… Ma a noi cristiani del secondo millennio, cosa può dire una frase del genere?
Il peccato è un atto di amore che fallendo il suo bersaglio ferisce chi lo vive. Un amore impazzito insomma, che amando a vuoto e avendo come oggetto il proprio io, non è in grado d’essere fecondo.
Ora, quanto bisogno abbiamo di qualcuno, in fondo di un amore che ci venga incontro ad indicarci il modo di smetterla di farci del male da soli? Il vangelo di oggi lascia intendere che questo amore esiste, ed ha un nome: Gesù di Nazareth.
Non tanto un amore capace di ‘togliere’ il male, ma come è indicato nel testo originario, e reso bene in latino: ‘tollere’, di portare, supportare la nostra capacità di amare. Sì, c’è qualcuno che sta dalla tua parte, e che ti indica la possibilità di vivere un amore capace di centrare finalmente il bersaglio. E questa possibilità è la logica del vangelo, la logica anti-mondana, capace di dono, condivisione, accoglienza, una logica salvifica insomma, se per salvezza s’intende la possibilità di non amare a vuoto.
Il Battista riconosce Gesù di Nazareth come colui sul quale rimane lo Spirito santo (v.33). Lo Spirito è vita, fecondità, ri-creazione. È la forza che muove l’universo. Gesù è l’uomo che è mosso dal quest’energia che ha creato i mondi, che fa sbocciare i fiori, e che fa unire i corpi. Gesù ha in sé la vita stessa di Dio, in quanto Dio è solo Vita che muove in avanti e fa sbocciare altra vita. Ebbene, dice il Battista, io testimonio che questo Gesù è ‘il figlio di Dio’. Certo, perché chi vive all’insegna della fecondità, della cura, del bene, dell’apertura all’altro, chi si dà perché l’altro possa venire alla luce di sé, questi sta agendo ‘da Dio’, perché Dio fosse presente qui ed ora agirebbe allo stesso modo. Gesù è figlio perché ama ‘da Dio’; perché è misericordioso come il Padre, è l’uomo compiuto, giunto alla piena maturità di sé. È il sogno di Dio realizzato.
E allora che si cominci ad amare ‘da Dio’ pure noi, cominciamo ad essere umani, sull’esempio dell’uomo Gesù di Nazareth. Cominciamo a venire alla luce partecipando di quello Spirito che abita in noi e che non ci abbandona. Giungeremo ad essere finalmente donne e uomini completi. Finalmente figli e figlie di Dio.