«La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”. 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. 22Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”. (Gv 20, 19-31)
Gesù si manifesta ai suoi nel ‘giorno uno’, leggendo letteralmente l’originale. È il giorno da cui scaturiscono tutti i giorni della vita dell’uomo. È il ‘primo giorno’ della creazione, che non avrà più fine.
I discepoli, in quel giorno di vita e di ricreazione se ne stanno al chiuso con le porte sprangate, pieni di paura. Ora, in quel cenacolo che ha ancora l’odore del sepolcro, si manifesta il Vivente, Gesù, e se ne sta ritto in piedi, là ‘in mezzo’ ai suoi. Quei suoi che solo poche ore prima l’hanno tradito, abbandonato, rinnegato. E lui ora torna da loro. Non ‘malgrado tutto’ ciò che gli hanno fatto passare, ma ‘attraverso tutto’ tutto che ha vissuto a causa loro. Perché se Cristo è il Risorto è proprio perché ha attraversato l’odio, l’inimicizia e il dolore che i suoi gli hanno gettato addosso. L’amore vince non ‘malgrado’,ma solo ‘attraverso’ ciò che vive.
Questo si chiama perdono: scommettere ancora una volta su chi ti ha ferito e ucciso. Credere che l’uomo è capace di rinascere ancora una volta dalle proprie ceneri.
Ricordiamoci: se possiamo fare esperienza del Risorto nella nostra vita, non è a motivo della nostra fedeltà a lui, del nostro amore per lui, ma per il suo amore e la sua fedeltà nei nostri confronti.
“Se noi manchiamo di fede, egli però rimane fedele,
perché non può rinnegare sé stesso” (2Tm 2, 13).
Gesù giunge dai sui e ‘stette in mezzo’. Non sopra. Gesù non è il capo della comunità, non occupa un posto al vertice, come l’apice di una gerarchia – cosa che purtroppo accadrà per i capi nella Chiesa nei secoli – ma sta ‘in mezzo’. Se sta al centro nessuno risulterà più in basso o inferiore: “chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve. […] Io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22, 26s.).
Giunge e la prima parola che pronuncia a questo manipolo di gente improbabile è “Pace a voi!”. Attenti, non è un augurio: “vi auguro di sperimentare la pace”. Ma un dono: pienezza di vita, felicità, compimento. Questo dona Gesù a questi tali che l’hanno ferito, dato che l’amore è solo questo: dare la vita a chi gliela toglie, amore talmente forte da lasciare il segno, come di ferita sulle mani e sui piedi: ostensione dell’amore di Dio per l’uomo.
E dona anche l’abbondanza dello Spirito. A noi, rinchiusi dentro ai nostri sepolcriesistenziali, terrorizzati con le porte del cuore sprangate, ci viene insufflato lo Spirito di vita, il medesimo che soffiò dentro a quel fantoccio di terra che fu Adamo, e che lo rese essere vivente. Noi, macerati da sensi di colpa, feriti dai nostri peccati, tradimenti, cadute, riceviamo ora lo Spirito sperimentando la nostra ri-creazione.
E alla fine Gesù dice: ‘A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati’. Bisogna fare molta attenzione a questo passo. Gesù sta dicendo ai suoi: voi ora portate vita alle persone che incontrerete, gettate luce in faccia alle donne e agli uomini del mondo. Chi lo accoglierà questo Spirito sarà risanato, perché l’amore è balsamo che sana le ferite; ma ci sarà qualcuno che lo rigetterà, e questi rimarranno al buio, perché liberi di farlo. Il dono del perdono non è potere concesso a pochi, ma responsabilità che spetta a tutti.