Gv 20, 19-31
Tommaso un giorno ebbe a dire: «Andiamo anche noi a morire con lui» (Gv 11, 16).
Si mostrò coraggioso, pronto a morire per il suo maestro. Un vero credente, ma a conti fatti, un uomo senza speranza.
Crederà anche in Dio, ma non riesce a credere all’amore. Dispera che l’amore possa scavalcare la morte; non crede alla logica del seme: «Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12, 24).
Nel Cenacolo i suoi compagni gli raccontano che il chicco di grano che fu sepolto il venerdì santo ha portato frutto, ma lui su questo non li segue. Ha seguito per anni il maestro, ma in fondo senza mai avere fede in lui, dato che la fede è «credere all’amore che Dio ha per noi» (cfr. 1Gv 4, 16), è credere che l’amore rimane fedele, aldilà anche di ogni infedeltà e fragilità.
Ecco in cosa consiste la disperazione di Tommaso: nell’essere disposto a sacrificarsi per un qualcosa che è destinato comunque alla tomba, al fallimento, a finire. Questo morire per un’idea, seppur altissima, è solo ideologia.
La questione non è schierarsi tra le file dei credenti o dei non credenti, perché questo non intaccherà mai la vita. Il fatto è piuttosto amare l’impossibile, sapendo che in questo modo il frutto sarà abbondante e il raccolto avrà il sapore della gioia, della pace, della benevolenza e della mitezza (cfr. Gal 5, 20).
Alla fine Tommaso si arrende. Non perché ha toccato (nel testo non si dice l’abbia fatto), ma perché si arrende alla pace, quella invocata da Gesù per tre volte. Percepisce di essere nel Tutto, già partecipe della Vita, di una luce rigenerante, per questo non ha più bisogno di toccare. Sta già bruciando nella fornace della Luce, che motivo può avere toccarla?
“Mio Signore e mio Dio”. Niente possesso, solo partecipazione.