Lc 9, 28b-36
Tutto è trasformazione e questa è la legge della vita: il seme diventa pianta, il bruco farfalla, l‘energia materia. E tutto è ‘impermanenza’, tutto muta.
Esiziale è rifugiarsi in sogni riguardo al passato o al futuro.
“Muori e divieni” dice Goethe. Muori al tuo piccolo io e sperimenterai il Dio che matura in te. E poi dagli credito, lascialo agire, lascia che si dilati in te e ti porti a compimento.
Il Vangelo di oggi ci riconcilia con i nostri fallimenti e i nostri naufragi esistenziali.
Vivere fino in fondo il dolore e il fallimento, le nostre morti quotidiane può essere premessa perché si riveli qualcosa di nuovo. Spesso è il medesimo veleno maligno che ci ha feriti a morte a rivelarsi l’antidoto migliore per la guarigione.
La cura del dolore sta sempre nel dolore.
Gesù molte volte invita a riconoscere nel naufragio della propria vita non tanto la fine e la sconfitta, ma un’opportunità di vita nuova. Gesù è l’uomo fallito che accogliendo sino in fondo la realtà in un abbandono totale, ha sperimentato il cominciamento di una vita nuova e per sempre.
Nessuno ama naufragare, si sa, ma spesso proprio ciò si rivela come possibilità di approdare in terre sconosciute e lì ricominciare una vita nuova. Sperimentare che la propria vita va in frantumi può rivelarsi una grazia, quando a sfasciarsi sono i sogni su cui abbiamo costruito la vita, oppure i desideri e le attese che gli altri hanno riversato su di noi.
Dopo essere andati a pezzi, non si tratta di ricomporre i cocci per tornare a come s’era prima; ma piuttosto approfittare della situazione in modo che rimettendo insieme i pezzi possa nascere qualcosa d’inedito, di altro, di inaudito, anche di bellissimo. E che non avremmo mai potuto immaginare.
La crisi, ciascuna crisi sarà sempre dunque un atto ‘grazioso’, trasfigurazione dell’esistente e manifestazione di una bellezza collaterale inimmaginabile. Basta un atto di fiducia.
La croce ha rappresentato la frantumazione nei discepoli dell’immagine che si erano creati su Cristo e su Dio. Tutto difronte a quel legno è crollato. Gesù stesso ha ‘mollato la presa’: i chiodi conficcati nei polsi gli hanno permesso di aprire la mano in un abbandono totale, per poi sentirsela afferrare finalmente da un amore fedele ed essere così riportato a casa e questa volta per sempre.