OMELIA III domenica del Tempo Ordinario. Anno A

Mt 4, 12-23

La cosmologia contemporanea ricorda che siamo nati dalle stelle. 12 miliardi di anni fa, le Giganti Rosse sono esplose e i loro elementi espandendosi li ritroviamo ora in ciò che costituisce la vita. Noi siamo formati da polvere cosmica.

«Non è per questo che brillate e sentite dentro di voi il calore e l’impulso a splendere? Sì, perché portate dentro di voi la potenza delle stelle» (Leonardo Boff).

“Convertiti, perché il regno dei cieli è vicino”, dice Gesù. Cambia mentalità, comincia a pensare diversamente. Entra in contatto con la luce che ti abita, e non fermarti sul male che riscontri in te; credi al bene che puoi fare. Brucia del fuoco interiore, asseconda l’impulso a splendere. Ricordati da dove vieni, e vivi fino in fondo il tuo desiderio, la ‘mancanza di stelle’.

‘Non lasciarti cadere le braccia’ (Sof 3, 16) ma usale per ‘pescare’ fuori dai gorghi della storia (cfr. v. 19) le donne e gli uomini che vi sono caduti dentro infangando così la loro dignità.

I primi collaboratori di Gesù non erano sapienti, ma semplici pescatori con i volti bruciati dal sole e le mani segnate dalle reti. Gesù li chiama a sé non per proclamare dottrine o verità su Dio, ma per liberare le persone dal male identificando così la salvezza non con l’ortodossia bensì con l’ortoprassi, atti segnati dal bene.

Essere cristiani significherà dunque portare avanti la creazione, la nostra umanità, e la fraternità. È curioso che all’inizio Gesù chiami a sé coppie di fratelli: Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni, perché in fondo il cristianesimo altro non è che energia immessa nella storia capace di richiamare in vita i Caino e gli Abele di sempre, trasformando così il fratricidio in vita nuova.

 

«Abele e Caino si incontrano dopo la morte di Abele nell’eternità, nell’oltre vita. Camminavano nel deserto. Si riconobbero da lontano perché erano ambedue molto alti. I due fratelli sedettero in terra.

Accesero il fuoco e mangiarono. Tacevano, come fa la gente stanca quando declina il giorno. Nel cielo spuntava qualche stella che non aveva ancora ricevuto il suo nome. Alla luce delle fiamme, Caino notò sulla fronte di Abele il segno della pietra e lasciando cadere il pane che aveva in mano e che stava per portare alla bocca, chiese che gli fosse perdonato il suo delitto. Abele invece rispose: Tu mi hai ucciso o io ho ucciso te? Non ricordo più. Stiamo qui insieme come prima.

Ora so – disse Caino – che mi hai perdonato…» (J. L. Borges)