1«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. 2Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. 4E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei”. 6Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro .7Allora Gesù disse loro di nuovo: “In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza». (Gv 10, 1-10)
La dura invettiva di Gesù nei confronti del potere religioso del suo tempo, credo dica qualcosa ai cristiani di oggi. A tutti coloro che rischiamo di rimanere sempre all’ingresso della felicità, per colpa di tristi ‘guardiani’, che attraverso l’arma della paura, fanno credere loro di essere sempre fuori luogo, inadatti e inadeguati, costringendoli a rinunciare ad entrare nel luogo della festa. Certo, molti cristiani avranno la responsabilità di aver dato credito a questi ‘terroristi della paura’, ma la colpa più grave sarà proprio dei ‘sorveglianti della felicità, coloro che ne impediscono l’entrata, in virtù di leggi, prescrizioni e invenzioni: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini» (Mc 7, 7). Gesù è venuto perché questi mestieranti della paura, si dissolvano e le persone abbianofinalmente accesso alla felicità.
Gesù ha detto che non v’è bisogno di guardiani al nostro cuore, perché questo conosce perfettamente qual è la strada al suo compimento. I guardiani posti ‘in nome di dio’ dinanzi alla porta della felicità, cui occorre implorare di entrare, magari dando in sacrificio tutto ciò che di più prezioso si possiede, non hanno nulla a che fare con Dio. «Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito» (Lc 11, 52).
Chi esercita il potere, da sempre, lo fa sempre occupandosi di ‘tutti’, come un unico indistinto, confondendo il singolo con la massa. Invece Gesù dice che il vero pastore ‘chiama le sue pecore ciascuna per nome, e le conduce fuori’. A Dio interessa il mio nome, perché io per lui sono unico. E questo amore non m’imporrà nulla, non mi tormenterà con inutili moralismi e imponendomi – certo a fin di bene – cosa fare in ogni aspetto della mia vita, come fossi sempre un infante. L’amore si limita a ‘condurre fuori’, verso orizzonti ampi e fecondi, fuori da sistemi oppressivi e direttivi. Il problema di come ‘guidare’ le persone è sempre stato, fin dall’inizio, il grande problema della Chiesa. Si possono guidare le persone come gli antichi faraoni e despoti teocratici, usando magari il pastorale come scettro e bastone, o alla maniera di Gesù che aveva un unico desiderio, trarre fuori le donne e gli uomini da recinti soffocanti verso la piena felicità.
Non c’è niente da fare, uno stile nel condurre le persone che non assomigli al suo, difficilmente condurrà alla felicità, ovvero alla nostra vita in pienezza, proprio quella che Gesù è venuto ad assicurarci, quella che ha il sapore di vita eterna. Perché lui, come ciascuno di noi, sa bene che “tutto ciò che si desidera è sempre dall’altra parte della paura” (Jack Canfield).