OMELIA IV domenica di Pasqua. Anno A

Gv 10, 1-10

Gesù e il potere religioso non sono mai andati d’accordo. L’uomo di Nazareth pare non accettare che alcuni rimangano sempre all’ingresso della felicità per colpa di tristi ‘guardiani’ che attraverso l’arma della paura fanno loro credere d’essere fuori luogo o inadeguati.
La religione – ieri come oggi – garantisce l’ingresso alla festa della vita ‘a patto che…’.
‘Credenti sotto felicità condizionata’.
Come se l’amore di un Dio dipendesse dall’etica delle sue creature, e il compimento del cuore dall’osservanza di dottrine e precetti: «Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito» (Lc 11, 52).
Ai mestieranti della paura Gesù ripete: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini» (Mc 7, 7).
Non vi è bisogno di guardiani alla porta della felicità, e quindi al nostro cuore, perché questo – in ultima istanza la coscienza – sa perfettamente qual è la strada da seguire.
Gesù, il pastore buono, ‘chiama le sue pecore ciascuna per nome, e le conduce fuori’. All’Amore interessa il nome degli amanti e li ‘conduce fuori’, verso orizzonti ampi e fecondi, fuori da sistemi oppressivi e direttivi.
Chi è preposto ad accompagnare gli altri, è chiamato a farlo sull’esempio di Gesù di Nazareth. Distogliere lo sguardo da lui significherebbe di fatto togliere l’aria e far morire di paura chi in buona fede si abbandona loro, scordando che alla fine “tutto ciò che si desidera è sempre dall’altra parte della paura” (Jack Canfield).