«Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: “Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?”. 13Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: “Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. 14Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”.15Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi”. 16I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua. […] E, mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: “Prendete, questo è il mio corpo”.23Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti.24E disse loro: “Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. 25In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio”. 26Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi». (Mc 14, 12-16.22-26)
«Prendete, questo è il mio corpo […] Questo è il mio sangue» (v. 22.24).
L’Amore si fa dono, semplicemente perché non può non donarsi. E dona la sua vita fatta di corpo e sangue.
Ma soprattutto si fa dono senza se e senza ma. L’amore è sempre gratis e immeritato. Non chiede ‘carta d’identità’, o ‘fedina penale’ prima di donarsi.
Nel Vangelo di Giovanni si evince che l’unico discepolo che si comunica al corpo di Cristo è Giuda Iscariota, quello che poi l’avrebbe tradito (cfr. Gv 13, 26).
Gesù non chiede all’amato alcuna disposizione particolare prima di donarsi.
Eppure una certa spiritualità malata ha fatto passare l’idea che la comunione eucaristica sia il premio dei buoni, la ricompensa dei puri, la palma di chi ce l’ha fatta…
Come se per ricevere la prestazione del medico occorra essere sani, distorcendo il desiderio di Gesù quando dice: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati» (Lc 5, 31).
«Non dite che siete peccatori, che avete troppe miserie, e che perciò non osate accostarvi alla santa Comunione. Sarebbe come dire che siete troppo ammalati e che perciò non volete né medici né medicine” (Giovanni Maria Vianney – Curato d’Ars).
«Se l’Eucarestia fosse un premio per i giusti, certo nessuno oserebbe riceverla. Ma essa non è il pane degli angeli, è il cibo offerto agli uomini pellegrini sulla terra, peccatori, deboli, stanchi, bisognosi d’aiuto. A chi fa la comunione non viene richiesta la perfezione morale, ma la disposizione del povero che riconosce la propria indegnità e la propria miseria e si avvicina a colui che lo può guarire. » (F. Armellini).
Una domanda cui faccio fatica a trovare una risposta sensata: Sappiamo che la Chiesa Cattolica invita i divorziati a frequentare la celebrazione eucaristica, ma proibisce loro di ricevere la comunione. Si può invitare qualcuno a cena a patto che digiuni?
Dio si fa dono, ma non regalo.
Il regalo è dato una volta per sempre, il dono chiede di essere portato a compimento. Il regalo è fine a se stesso, il dono chiama alla responsabilità.
Dio si dona con la sua vita che è l’amore; ora mangiando quel medesimo amore, vengo trasformato io stesso in soggetto amante, sono abilitato a farmi prendere, spezzare, masticare da coloro che intorno a me reclamano vita. Celebrata l’Eucaristia, son chiamato a farmi a mia volta pane eucaristico.
Il ‘fate questo in memoria di me’ di Gesù, che viene ripetuto durante ogni celebrazione, non sta a significare che bisogna moltiplicare le Messe, ma semplicemente a vivere nella modalità di Cristo, nella consegna di sé come seme che muore, al fine di donare vita all’altro, e insieme per vivere per sempre.
“Pertanto la celebrazione eucaristica realizza se stessa quando fa in modo che i credenti donino “corpo e sangue” come Cristo per i fratelli” (Carlo Maria Martini).
Se ‘fatta la comunione’ si esce di chiesa pensando di aver accresciuto la propria ‘santità’, o di aver semplicemente assolto il precetto domenicale, e non si è pronti a farsi manducare dall’altro – senza chiedere alcuna carta d’identità – perdiamo anche ciò che si è ricevuto in chiesa.
Il dono ricevuto – appunto perché non è regalo – se non è donato a propria volta, va perduto.
Diventare ostie, perché l’altro mangiando riceva vita; farsi sangue versato, perché l’altro bevendone possa fare esperienza di Dio, questo vuol dire celebrare l’eucaristia.