«Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. 17Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. 18Gesù si avvicinò e disse loro: “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. 19Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». (Mt 28, 16-20)
Dio è Trinità. E non potrebbe non esserlo, in quanto Dio è solo Amore, e l’amore è essenzialmente relazione interpersonale. Per cui Dio è Trinità perché relazione amante tra persone che si donano e s’accolgono in un gioco d’amore reciproco, infinito e creante, in quanto solo l’amore costruisce (cfr. 1Cor 1, 8).
E l’uomo è scaturito da questo Amore, come ogni altra cosa esistente; la Trinità è scaturigine dell’essere, fonte dell’esistente, per cui noi sappiamo che alle nostre spalle c’è una volontà amante e creatrice, e non un caso bizzarro. Ma soprattutto sappiamo che ci stiamo costruendo ad immagine e somiglianza di questo amore, per cui il nostro momento ultimo non sarà ‘la fine’ di tutto, ma il compimento del sé, nell’abbraccio con ‘il fine’, il tutto.
Gesù, nel Vangelo di oggi, ci fa memoria che se desideriamo compierci come uomini e donne in pienezza, occorre vivere nel momento presente, la logica di Dio, parlare il linguaggio stesso della Trinità: dono continuo di sé all’altro e insieme, accoglienza dell’altro nella sua piena oggettività.
E poi questo invito: andate e battezzate tutti i popoli… (cfr. v. 19). Battezzare significa letteralmente immergere. Ecco cosa ci viene chiesto; immergere, inzuppare le persone con cui veniamo in contatto, nell’amore di un Padre che ama da morirne, nello Spirito che vivifica e feconda ciò che non ha vita, nel Figlio che recupera da ogni inferno riportando a casa. E questo non vuol dire solo far scendere un po’ d’acqua sulla testa dei neonati… La nostra vita, le nostre relazioni, le parole pronunciate, le carezze donate, gli abbracci concessi, le offese perdonate, il male non restituito, la vita donata, tutto questo è battezzare gli uomini nel Dio Trinità.
E l’altro invito: insegnate loro a osservare… (cfr. v. 20), non significa moltiplicare catechismi dove s’insegnano comandamenti con il dettame di osservarli.
Perché è molto facile trasmettere dottrine, e molto più comandare. La cosa difficile è mostrare come il Vangelo è foriero di vita, fecondità, gioia, vita in pienezza… Costa molta fatica testimoniare con la propria vita le conseguenze del Vangelo, la bellezza che affascina e trascina, la gioia dirompente e trasformante. Per questo abbiamo ridotto il cristianesimo ad una morale e il Vangelo ad un codice comportamentale.
Insegnare significa letteralmente ‘lasciare il segno’.
Ora Gesù ci chiede di insegnare tutto ciò che ci ha comandato, ma noi sappiamo che ci ha lasciato un solo comandamento: quello dell’amore (cfr. Gv 13, 34). Questo è il segno che dobbiamo lasciare nelle nostre relazioni. Che gli uomini e le donne che entrano in contatto con noi, se ne possano andare ‘segnate’ dal nostro passaggio, che possano andare via diverse da come sono arrivate, magari risollevate, guarite nell’anima, con più fiducia in se stesse, perdonate, rigenerate…
Se ci hanno sentito dalla loro parte, se ci hanno percepito con loro, allora anche noi faremo una splendida esperienza, sentiremo il Dio Trinità dalla nostra parte: «Io sono con voi, fino alla fine del mondo (v. 20).
L’unico modo per sperimentare il Dio con noi, ci dice il Vangelo, è fare in modo che i fratelli ci sentano con loro.
Solo risuscitando i fratelli alla vita, potremo incontrare il Risorto nella nostra vita.