Mt 5, 17-37
«Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento».
Gesù porta a compimento la religione antica dei suoi padri.
Ha creduto, come ogni ebreo, che il giudaismo fosse ‘via, verità e vita’. Ma col tempo imparerà a riconosce i limiti di un sistema che separa i giudei dai non-giudei, che ritiene che il proprio Dio sia l’unico e vero; e che per farne esperienza occorra passare attraverso la mediazione dei profeti, e quindi dei sacerdoti, di un tempio, della religione stessa insomma.
Sarà col battesimo che Gesù compirà un vero e proprio passaggio di soglia: dal grembo della religione all’esperienza im-mediata di Dio. Deflagrazione della consapevolezza: scopre d’essere figlio.
Non più mediazione dunque: religione come via, verità e vita, ma ‘Io e il Padre siamo Uno’. Per questo potrà finalmente affermare: ‘Io sono la via, la verità e la vita, in quanto io sono nel Padre e il Padre è in me.’ Non c’è più un’istanza mediatrice esterna che mi dica cosa fare o non fare, cosa è lecito o illecito. Ora posso decidere – in coscienza – in ogni istante cosa fare o non fare; sono libero dal passato, e libero per il futuro. Sono uno col Padre che è Uno.
Ma la cosa straordinaria è che questa esperienza di essere nell’Uno, la possiamo fare tutti! Questa è la libertà dell’essere umano: tutti possiamo dire ‘Io sono la via, la verità e la vita’, in quanto partecipiamo della medesima natura divina: «Chi si unisce al Signore forma con lui un solo Spirito’ (1Cor 6, 17). Impastato di divino, posso agire ‘da Dio’, senza l’ausilio di mediazioni esterne vendute come ‘volontà di Dio’, a patto che mi distacchi da ciò che impedisce alla mia natura autentica – quella divina appunto – di esprimersi, ossia dal ‘mio’ e dall’’io’.
«Il vostro parlare sia “Sì, sì”, “No, no”; il di più viene dal Maligno» (v. 37).
Presa consapevolezza di essere uno nell’Uno, una cosa sola col divino, allora divengo cosciente che di ciò che accadrà nella vita nulla sarà fuori da questa realtà.
Arnaud Desjardins rilegge il v. 37 così: ‘dite: ciò che è è, e ciò che non è non è. Il resto viene dal mentale’.
Insomma, la questione è stare con ciò che è, con la vita nella sua interezza, luminosa o tenebrosa che sia, riconoscere quello che è.
‘Non quello che dovrebbe essere, ma quello che è’ (Swami Prajnanpad).
Ciò che ci fa soffrire è il mentale che si sovrappone alla realtà: ‘dovrebbe essere così, o cosà’. ‘Non posso accettare quanto sta accadendo’.
No, il mentale è il maligno che sovrapponendosi alla realtà porta a rifiutare quello che è, e a vivere di emozioni. E di sogni. Ma anche di rabbia e frustrazioni. Questo non significa tollerare, o peggio, subire. Ma fare i conti con la realtà al netto del mentale, e agire di conseguenza, migliorando la situazione laddove sarà possibile.