Gv 14, 15-21
Esiste un ‘miracolo’ dell’amore: trasformare l’assenza in unione e la lontananza in prossimità.
Quando la morte toccò Gesù, i suoi cominciarono a farne esperienza come il vivente; più cercavano di vivere secondo la sua statura esistenziale, maggiormente lo sentivano vicino e più vivo che mai. In una parola risorto! Lo percepivano come presente e attivo nel quotidiano, in una modalità infinitamente più forte e reale di quando stava effettivamente tra loro.
Ciò che Gesù ha vissuto coi suoi è ciò che avviene solitamente tra genitori e figli. Gli anni vissuti insieme, servono a ridestare e far sbocciare energie profonde e insospettate nei giovani che devono crescere e aprirsi al futuro. Questi comprendono pian piano che si può cominciare a vivere attingendo alle forze e potenzialità intrinseche, senza doversi riferire continuamente ai ‘grandi’ fuori di sé. Tutto ciò che un figlio farà e penserà sarà da una parte squisitamente proprio, ma altresì impastato degli anni trascorsi insieme ai genitori.
Esiste un Amore che ‘desidera’ che viviamo autonomamente, portando a compimento la nostra umanità. Possiamo diventare adulti attingendo al nostro Sé autentico, senza il bisogno di riferirci a modelli, norme e comandamenti esterni. Gesù è stato compagno di viaggio per i suoi per un periodo limitato di tempo; un appoggio per il tempo necessario a indicare una strada, ma poi si distacca conscio che l’uomo porta in sé tutto ciò che è sufficiente e necessario per portarsi a compimento, ossia quello Spirito che è matrice ed essenza dell’umano. Questo significa camminare da cristiani adulti: diventare consapevoli della nostra potenzialità, della nostra natura autentica, e attingervi come a sorgente inesauribile.
«Verrà forse un tempo in cui la luce interiore uscirà da noi, in modo che non avremo più bisogno di altra luce» (Goethe).