Mt 5, 38-48
‘Occhio per occhio, dente per dente…’. La Legge antica esigeva che al male si rispondesse con un’azione uguale e proporzionata. Argine alla vendetta, ma non in grado di sconfiggere il male. Questo viene semplicemente restituito, non vinto.
Gesù osa far compiere un passaggio di soglia: il male non si vince con altro male, ma solo col bene, perché il male – come il bene – viene moltiplicato compiendolo. Lezione fatta propria dalla narrazione evangelica molto presto: “Non rendete male per male, né ingiuria per ingiuria, ma, al contrario, rispondete benedicendo; poiché a questo siete stati chiamati per avere in eredità la benedizione” (1Pt 3, 9); “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male” (Rm 12, 2); “Guardate che nessuno renda ad alcuno male per male; anzi cercate sempre il bene gli uni degli altri e quello di tutti” (1Ts 5, 15).
Su questa linea, Gesù invita a non opporsi al malvagio (v. 39). Al male sì, perché questo va sempre combattuto, ma non a chi fa il male in quanto prima vittima del male perpetrato e in quanto tale da amarsi ancora di più. Gesù ama il peccatore proprio perché odia il male.
La Legge richiedeva poi un’osservanza precisa e puntale. Ciò avrebbe reso giusto chi l’avesse ottemperata. Gesù invita a fare un passaggio oltre, e tendere ad una ‘giustizia superiore’. Adempiere non è tutto: ‘non uccidere’ – ad esempio – non basta.
Non è sufficiente limitarsi a ‘non togliere la vita’: ciò che conta è elargire vita, insufflarla in chi ci sta accanto.
Amare ‘gli amici’, non è sufficiente. Vivere l’accoglienza per quelli di ‘casa nostra’, è riduttivo. La questione è nutrire atteggiamenti di vita e fecondità, benevolenza e giustizia verso tutti. Proprio come fa il Padre dice Gesù, che fa piovere (elargisce benedizione) su tutti e fa splendere il sole su tutti, senza far preferenza di persone. Ama ‘a pioggia’, disinteressandosi su chi possa cadere il suo amore; scalda tutti, indipendentemente dal merito di ciascuno.
L’amore non sceglie, è scelto.
Tutto questo renderà ‘perfetti’, perché la perfezione – in senso evangelico – è cammino di umanizzazione, di compimento del proprio essere: processo di emersione e di fioritura del vero sé. E in questo modo si assomiglierà a Dio: si diventa divini per via di umanizzazione. Proprio come Gesù, che sul legno della croce ha portato alle estreme conseguenze la sua umanità, tanto da poter gridare: ‘Tutto è compiuto’.
È l’amore che fa compiere l’umano, che realizza, che porta a ciò che dovremmo essere: niente meno che divini.