Mc 6, 1-6
«Lì non poteva fare nessun prodigio…» (v. 5).
L’amore non trova accoglienza e non può manifestarsi.
Occorre essere molto ‘vuoti’ per poter esperire l’azione di Dio in noi. Finché pensiamo che Dio sia ‘così e così’ di fatto lo neghiamo, perché egli è puro ‘nulla’ ricorda Meister Echkart, nel senso che non è questo né quello; il ‘neti-neti’ della tradizione induista.
I conterranei di Gesù credono di conoscere tutto di lui, ed egli legge questo come disprezzo.
I pensieri, le immagini, le attese, le aspettative su Dio ne sanciscono di fatto la morte, trasformandolo in un idolo, dinanzi cui inchinarsi.
Gesù s’attende la fede, quella che ha trovato nel soldato pagano, nella donna siro-fenicia, nei samaritani, persone lontane, eretiche, fuori dalla religione ufficiale. Pura accoglienza, che comincia col non sentirsi meritevoli di nulla.
L’Amore non premia i buoni e i santi, ma fa sbocciare la vita di quanti ne fanno esperienza.
Fede significherà dunque dar credito all’azione del bene in noi. Aprirsi alla Vita, lasciando perciò libera la divinità d’essere l’insperato, l’amore che muove e fa sorgere il tutto. Significa aprirsi ad essa nelle nostre storie malate, e credere che è già all’opera, realizzando così il suo sogno.
Fede vuol dire che per quanto la nostra umanità possa essere malata, ferita, limitata e bacata, la divinità che già opera in noi ha il potere non di cambiarla, ma di avvolgerla, E se il Vivente abita la mia vita in questo modo, allora «anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me» (Sal 23, 4)