Gv 6, 1-15
«Chiuso fra cose mortali / (Anche il cielo stellato finirà) / Perché bramo Dio?». Ungaretti percepisce che tutto non è ancora Tutto.
E ancora: «Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno?» (Mario Luzi).
Il pane non basta alla fame dell’uomo: «Non di solo pane vivrà l’uomo», dice Gesù (cfr. Mt 4, 4).
«Duecento denari…» (uno sproposito!) non saranno mai abbastanza per soddisfare la nostra fame di vita.
Siamo solo la ‘razione di vita per l’oggi’ (i cinque pani e i due pesci del racconto)?
Bastiamo solo per quest’oggi, per questa vita, troppo breve per esserci sufficiente?
Siamo relazione: ecco dove risiede la nostra vita. Relazione col Tutto; siamo parte del Tutto. Se viviamo ingrassando il nostro piccolo ego, saremo morti viventi attaccati coi denti a questa breve avventura che è la nostra storia.
Il ramo d’un albero se pensa di essere solo ramo, vivrà nell’ossessione di essere tagliato, di spezzarsi, di cadere a terra. Ma se si percepirà albero, sa che se anche cadrà a terra la sua vita non può finire perché è appunto albero, la linfa vitale non si esaurirà, ma circola nel Tutto più grande di lui. E la pace sarà grande.
La vita che viviamo, se partecipata è moltiplicata, entra nella sfera dell’eternità, acquisisce una portata in grado di vincere anche la morte. E trasformerà questo povero mondo in un ‘paradiso’, luogo delle relazioni sane e vitali, dove gli altri da nemici diverranno compagni, etimologicamente ‘coloro con cui si condivide il pane’. Il testo infatti parla di «molta erba in quel luogo» (v. 10), ossia di un giardino, figura nella Bibbia del paradiso.