Gv 6, 24-35
Dice Gesù: «voi mi cercate perché avete mangiato di quei pani…» (v. 26).
Perché cerchiamo Dio? Perché ci garantisca il ‘pane’, un po’ di salute, magari una sicurezza lavorativa, il benessere famigliare? Basterebbe ascoltare le nostre preghiere per rispondere a questa domanda.
Abbiamo ridotto il cristianesimo ad un ‘self service’ religioso, dove ciascuno può trovare ciò che desidera, dai miracoli in qualche improbabile santuario mariano, a madonne in grado di ‘sciogliere i nodi’ della propria vita sgangherata, a polizze assicurative sulla salute, a santoni capaci di far miracoli. E se salute, una certa stabilità economica e un po’ di tranquillità famigliare si affacciassero effettivamente nella nostra vita, allora si comincerebbe a cercare Dio per qualcosa di più sottile, di più raffinato: sensazioni forti a livello spirituale, una certa pace dell’anima, una sensazione di energia interiore, una vibrazione dell’anima…
In un’epoca dove si moltiplicano i centri benessere, rischiamo di ridurre il fatto cristiano e la Chiesa a una ‘spa’ dei poveri.
Si cercano più i ‘doni’ di Dio, piuttosto che Dio come dono.
Un rapporto di amore non può giocarsi sul dare e l’avere, ma sull’esserci.
Il fine dell’amore è diventare ‘Uno’ con l’Amato attraverso la relazione; far spazio all’altro, sperimentare una sorta di fusione – senza confusione – come avviene tra il ferro e il fuoco, dove uno acquisisce le prerogative dell’altro.
Se non entro in questa comunione, se non divento ‘uno’, dall’altro mi aspetterò sempre qualcosa, un vantaggio, una risposta alle mie richieste, alla mia religiosità, alla mia devozione.
Dio però non mi sta dinanzi come un dispensatore di grazie, doni e miracoli, ma ‘dentro’; non sta fuori di me, ma è parte di me. Per questo la vita spirituale è infinitamente più grande e alta della vita religiosa; quest’ultima vive di prestazioni per un compenso, la vita spirituale è esperienza di un’unione nell’amore, da cui scaturisce lo stile di vita. E in ultima analisi la felicità.
«Tu pretendi di cercare Dio; in verità fai di Dio una candela, con la quale cerchi qualcos’altro, e quando l’hai trovato, getti via la candela. Tu abbassi Dio al ruolo di una vacca da latte, che l’uomo custodisce per il proprio profitto, per il latte e il formaggio. Tu fai come quelli che, quando loro va bene, lodano Dio e confidano in lui, come alcuni che dicono: ho dieci moggi di grano e altrettanto abbondante vino quest’anno, confido saldamente in Dio! Davvero hai grande fede dico io, ma nel grano e nel vino. Tu mercanteggi con il tuo Dio, dai e fai perché ti restituisca il centuplo, ma questo dare è piuttosto da chiamarsi un chiedere. Finché operi le tue opere per moventi esteriori, per il regno dei cieli, o per Dio, o per la tua beatitudine, non ti comporti rettamente. Poiché, chi crede di raggiungere Dio nella interiorità, nella devozione o in un dolce rapimento più che presso il focolare o nella stalla, agisce come uno che prendesse Dio, gli avvolgesse la testa in un mantello e lo cacciasse sotto una panca» (Meister Eckhart, Sermoni Tedeschi).