Mc 9, 30-37
La psicologia ricorda che chi vuol essere il ‘più grande’, è perché in fondo si reputa piccolo e insignificante. Si compensa il vuoto che ci abita col bisogno di dire ‘io sono’.
Ancora, ci s’ingrandisce attraverso l’accumulo, affastellando e fagocitando oggetti, esperienze e persone. Barattato l’essere con l’avere, ci s’illude che ‘più si ha più si è’.
Gesù indica un’altra via per ‘essere’ grandi: la relazione con l’altro nel dono di sé.
Nel nostro brano pone ‘in mezzo’ un bambino, ossia – al suo tempo – l’insignificanza fatta persona. E questo per dire che mettendo al centro, facendo attenzione, prendendosi cura di ciò che è considerato nulla per il mondo, si vive di fatto il rapporto vivificante col Mistero, manifestando così la propria grandezza.
Saremo grandi nella misura in cui faremo il centro della nostra attenzione i più piccoli.
Porsi nelle cosiddette ‘mani di Dio’ significherà dunque mettersi nelle mani dell’altro, perché questo è amore, mentre tenere gli altri nelle proprie mani si chiama potere.
Occorre stare attenti, qui si parla di accoglienza dell’altro non del dovere di elargire elemosine ai poveri. Vivere da fratelli non è fare delle cose per l’altro, piuttosto accoglierlo, tout court, così com’è, nella sua totale oggettività. Accogliere l’altro – infatti – molto spesso significa proprio astenersi dal fare qualcosa per lui.
Alla fine abbiamo più bisogno di un cuore che ci accolga così come siamo, nella nostra più profonda verità, che di qualcuno che ci dimostri il suo bene riempiendoci le mani di doni.