OMELIA XXX domenica del Tempo Ordinario. Anno B

Mc 10, 46-52

 

Siamo ciechi, perché presumiamo di vederci benissimo. 

Presumiamo che ciò che i nostri occhi sensibili attestano, sia tutta la realtà. 

Ma non è così. Ce lo ricorda il famoso aforisma di Saint-Exupérie: ‘L’essenziale – ciò che veramente conta – è invisibile agli occhi’. Sta da un’altra parte. La vita sta da un’altra parte. 

Ecco perché le grandi tradizioni spirituali parlano di un ‘terzo occhio’, ossia di una possibilità altra di rapportarsi col mondo, con la realtà, con gli altri. Per il Taoismo esistono addirittura ottantuno livelli diversi di sguardi sulla realtà. E paradossalmente, i veri saggi, gli illuminati e i lungimiranti nell’antichità erano spesso ciechi. 

Occorre chiudere gli occhi sul mondo per cominciare a percepirlo nella sua verità. 

Chiudere con i nostri sensi superficiali, le nostre sensazioni, i nostri giudizi egoici: mi piace-non mi piace, mi è favorevole-mi è contro, giusto-sbagliato, bene-male… 

Il primo passo da fare non sarà dunque quello d’imporsi di ‘cambiare’ la realtà a tutti i costi, ma guardarla piuttosto con occhi diversi per giungere a viverla con un atteggiamento altro. 

Qui potrà cominciare un autentico cammino di fede. Vivere la vita con fede vuol dire infatti sapere che il male di cui si è spettatori e vittime non è l’ultima parola ma solo la penultima; che non occorre opporsi al malvagio, ma piuttosto rispondergli facendo il bene (cfr. Mt 5, 39); che alla tenebra – il male – non va fatta violenza per disintegrarla, ma è sufficiente avvolgerla col bene, con la luce e quella si dissolverà. Vivere con fede significa guardare il mondo come sotto il segno della croce, ossia amato da Dio e quindi già salvato, destinato a un porto di bene. 

Cominceremo un cammino di illuminazione quando riconosceremo di essere ciechi, quando prenderemo coscienza di essere ammorbati da una mentalità omicida e suicida, incentrata cioè sul potere, sull’avere e sul successo. 

Saremo illuminati quando anche noi come Bartimeo cominceremo a gridare la nostra malattia esistenziale, quella che ci ha relegati paralizzati ai bordi della strada dell’esistenza. Quando scopriamo che solo nella nostra povertà e nel nostro peccato possiamo fare esperienza della salvezza, e che solo perché tenebra possiamo essere raggiunti dalla Luce scoprendoci finalmente figli amati e donne e uomini illuminati.