Immediatamente dopo l’attacco alle Torri Gemelle di New York, l’11 settembre del 2001, Tiziano Terzani parte per alcune delle città ‘nemiche’, come Kabul, Peshawar, Quetta, per vedere dal di dentro cosa muove quel mondo a scagliarsi contro il diabolico Occidente. Da questo viaggio nascono alcune lettere inviate al Corriere della Sera, e poi raccolte nel libro “Lettere contro la guerra”. Un racconto lucido e intelligente, come tanti altri scritti del giornalista toscano. Un libro di un’attualità sconcertante, se letto oggi dopo gli ultimi attacchi del fondamentalismo islamico al cuore dell’Europa, e dell’ennesima risposta armata dell’Occidente.
Un invito a cambiare mentalità, atteggiamento, ‘a prendere le decisioni che ci riguardano e che riguardano gli altri sulla base di più moralità e meno interesse”.
Alcuni stralci tratti dal libro: «Dipende da quel che noi faremo, da come reagiremo a questa orribile provocazione, da come vedremo la nostra storia di ora nella scala della storia dell’umanità, il tipo di futuro che ci aspetta. Il problema è che fino a quando penseremo di avere il monopolio del ‘bene’, fino a che parleremo della nostra come ‘la’ civiltà, ignorando le altre, non saremo sulla buona strada».
«Purtroppo, oggi, sul palcoscenico del mondo noi occidentali siamo i soli protagonisti e i soli spettatori, e così, attraverso le nostre televisioni e i nostri giornali, non ascoltiamo che le nostre ragioni, non proviamo che il nostro dolore. Il mondo degli altri non viene mai rappresentato».
«Io sono convinto che il problema del terrorismo non si risolverà uccidendo i terroristi, ma eliminando le ragioni che li rendono tali».
«Possibile che per proteggere il nostro modo di vivere si debbano fare milioni di rifugiati, si debbano far morire donne e bambini? Per favore, vuole spiegarmi qualcuno esperto in definizioni che differenza c’è tra l’innocenza di un bambino morto nel Word Trade Center e quella di uno morto sotto le nostre bombe a Kabul?».
«Eppure l’Afganistan ci perseguiterà perché è la cartina di tornasole della nostra immoralità, delle nostre pretese di civiltà, della nostra incapacità di capire che la violenza genera solo violenza e che solo una forza di pace e non la forza delle armi può risolvere il problema che ci sta dinanzi».