Il sacrificio del fuoco. 50 pagine immense. 

Ho letto d’un fiato, un piccolo immenso libro dal titolo ‘Il sacrificio del fuoco’, di Albrecht Goes, edito da Giuntina.

Ancora un libro sulla Shoah, sul male assoluto, ma al contempo diverso, ‘altro’ dalla sterminata letteratura a riguardo. Qui è la prospettiva che cambia. L’autore e la protagonista non sono ebrei. Sono tedeschi. Ma, in qualche modo vittime anch’essi della follia nazista.

Un libro di appena 50 pagine, ma incredibilmente lontane da ogni retorica, in particolare quella che invita a fare memoria, ma in fondo sterile, senza coinvolgersi fino in fondo, senza pagare personalmente – fino al sacrificio del fuoco – perché una mentalità, l’ideologia perversa eviti di entrare nella mente e nell’azione degli uomini e delle donne del nostro tempo.

Di seguito uno stralcio della bella recensione a questo libro di Fiamma Nirenstein, comparsa il 27 gennaio scorso sul quotidiano Il giornale.

«Questo libretto di 50 pagine fa capire che la morte violenta degli ebrei è un problema non solo del «nazista» di turno, ma di ogni persona creata. Che o sei in condizione di combattere o, se sei un essere umano, desideri espiare. Insomma, che non si può andare avanti dopo la Shoah come se non avessimo imparato da quella che l’essere umano è un lupo. Lo scrittore e la protagonista non sono ebrei, eppure il dolore è tutto quanto su di loro, e le poche pagine, le pochissime parole del libro (fatto rivoluzionario, in genere si chiacchiera molto sull’argomento) non perdono una virgola di tempo per trasferire su ciascun lettore come una bomba l’impossibilità di dire e basta, la futilità di dichiararsi triste o persino disperato, e tanto meno di promettere che questo non avverrà «mai più». La memoria, se c’è davvero e non è simulata, e qui è chiaro una volta per tutte, è sovrastante rispetto alla capacità umana di elaborarla, non c’è che «il sacrificio del fuoco» per segnalare che si ricorda la Shoah, e anche quello tuttavia non riesce. Perché la protagonista lo desidera, ma gli ebrei la salveranno. Persino Dio non lo vuole, o non se ne occupa dopo che gli uomini hanno segnato l’universo con un’ignominia definitiva.

La protagonista del libro è una cristiana protestante tedesca, una signora cui viene imposto l’incarico, nel negozio del marito, di servire il Reich come macellaia degli ebrei, ovvero di distribuire la pochissima carne concessa il venerdì dalle carte annonarie. La signora Walker così viene a contatto, dall’esterno, non come ebrea ma come cristiana, con le persecuzioni degli ebrei. La novità illuminate del libro è forse questa: non sono gli ebrei che raccontano la loro persecuzione, ma guarda la storia, stupefatto, un occhio estraneo. Quindi qui non si vede, ma solo si intuisce, il destino di sterminio nei campi di concentramento: tutto si consuma prima nell’odio e nella crudeltà degli stolti, cuoce, si trasforma in disprezzo, in disumanizzazione, in vicende di carnefici idioti e di gente per bene, signore borghesi, rabbini, e soprattutto nella storia di una giovane donna che aspetta un bambino e che è destinata con la sua creatura non nata al macello. Il nazismo, lo si vede bene, non è nel libro imposizione dall’alto, non è ordini rauchi, disciplina militare, «questi erano gli ordini» alla Eichmann. È trasformazione in boia di centinaia di migliaia, milioni di tedeschi: è la loro vocazione umana a questo, nazisti che un tempo forse erano persone e che adesso, nella macelleria dove al venerdì sera, prima di Shabbat, gli ebrei perseguitati raccolgono il loro misero cibo, educano la loro crudeltà allo sterminio di neonati, vecchi, venerandi signori religiosi o meno, che potrebbero essere i loro maestri e i loro datori di lavoro o anche persino i loro genitori.

È dopo «l’episodio della carrozzina» in cui la signora Walker misura l’abisso totale, il dolore irrecuperabile in cui è caduta l’umanità, che la protagonista decide per il sacrificio del fuoco. Saranno gli ebrei a comunicarle di nuovo la necessità di vivere.

La signora resta, nella storia, sola. Nonostante la rabbia di chi sostiene che si parla troppo di Shoah e lo si fa per compiacere gli ebrei, è vero il contrario. I sopravvissuti, in solitudine, hanno indicato l’eccesso, oltre la volontà divina, dell’accaduto, hanno visto il cespuglio che arde senza consumarsi; non c’è stato un sacrificio del fuoco, neppure concettuale, adeguato, tanto che ha potuto svilupparsi tranquillo l’antisemitismo omicida, di nuovo. Nessuno si è alzato in piedi, all’Unione europea, o all’Onu, o negli Stati Uniti, sostenendo il diritto degli ebrei e quindi di Israele a vivere senza odio e violenza da parte dell’antisemitismo islamico. Al contrario, la memoria si è talmente falsata da arrivare ad attribuire a Israele talvolta le caratteristiche degli aguzzini degli ebrei. Non basta dire che questo è disgustoso. Se si pretende di ricordare, che lo si dimostri. La prova è ancora quella del fuoco. Che qualcuno dimostri che ricorda davvero, oggi».

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